Effetto Bartleby – sul celebre racconto di Melville
Tanto è stato detto e scritto di questo scrivano. Tutti vittima del suo effetto straordinario, ovvero di qualcosa che ci piacerebbe chiamare “effetto Bartleby”.
Quest’uomo mite, e terribilmente paziente, che all’improvviso decide di non svolgere più il suo impiego, rispondendo curiosamente “preferirei di no”, sarebbe portatore del senso più profondo di ogni creazione e, dunque, dell’opera d’arte.
Bartleby non è semplicemente lo scrivano che preferisce non scrivere, ma soprattutto chi preferisce, in seguito, non vivere, senza dare alcuna spiegazione del suo gesto. Tutto questo turba chi è abituato a voler sapere ogni cosa, chi vuole comprendere, per dissolvere l’inconcepibile nelle sue ragioni. Tutto ciò che Bartleby offre è uno straordinario pudore.
Il racconto mostra una progressiva chiusura di Bartleby, un progressivo sottrarsi a qualsiasi cura, perfino a quella di mangiare. Si potrebbe dire che, al contrario dei romantici, quest’uomo desideri non desiderare.
Eppure Bartleby non assomiglia al mollusco che si chiude nel suo guscio, essendo colui che offre se stesso separandosi da qualsiasi cosa, distinguendosi in modo assoluto. Per questo Bartleby è la figura del poetico e del senso di ogni creazione. Un pudore spudorato. Un trattenere, un essere divenuto cripta, e, nello stesso tempo, un’offerta senza precedenti, un dono assoluto. L’aporia stessa di ogni pudore, che, per quanto voglia sottrarsi all’esposizione, non fa che esporsi ed esporre. L’esposizione assoluta di chi tenta di sottrarsi ad ogni esposizione. Che non può non attirare il ragionamento che vuole risolvere la contraddizione, il toccarsi del pudore e del nudo, dell’offerta e della sottrazione.
Per immaginare una figura del poema e dunque della creazione artistica, il filosofo Jacques Derrida ricorreva alla figura dell’istrice, che, pur chiudendosi in se stesso, offriva nello stesso tempo i suoi aculei. Tuttavia questa figura, si capisce, è ancora troppo istintiva, reattiva. Quella di Bartleby, invece, ben si associa a una maniera inspiegabile.
Ogni opera d’arte ci pone dinanzi a questo “effetto Bartleby”, ovvero dinanzi al “rendere” ragione, al gesto duplice, cioè, del rincorrere l’opera per spiegarla e della resa finale di ogni spiegazione esaustiva.
Pubblicato sulla rivista il Funambolo, n. 6, ”Preferirei di no”)
~ di ariemma su gennaio 7, 2009.
Pubblicato su Riflessioni e articoli
Tag: arte, Bartleby, estetica, Libri, Melville, Riflessioni e articoli
Bartebly è una vera e propria icona.
Dopo la lettura, credo di aver ripetuto “Preferirei di no” per molto tempo.
Comunque, la figura che propone Derrida è interessante, ma in effetti Bartleby fa un passo in più. Anzi, in meno.
🙂
Bellallegria said this on gennaio 7, 2009 a 8:55 PM
Come se si potesse avanzare ritirandosi. Larvatus prodeo,avanzo mascherato, diceva Cartesio. 🙂
ariemma said this on gennaio 7, 2009 a 9:57 PM