Intervista sulla filosofia di Alain Badiou

Estetica_dell_ev_5289f732cf3f9_220x335[Ripubblico qui l’intervista di Alessandro De Caro intorno al mio libro Estetica dell’evento. Saggio su Alain Badiou, prima monografia critica in Italia sul filosofo francese. L’intervista venne pubblicata nel 2012 sulla rivista on line “Eterologie – Rivista di epistemologia critica”,  non più in linea attualmente]

1. Uno degli aspetti che colpiscono di più i lettori di Badiou è senz’altro il suo ricorso alla matematica per svolgere una serie di tesi intorno all’essere. La filosofia, in effetti, ha spesso e volentieri utilizzato delle nozioni matematiche e si è dato anche il caso, opposto, di discorsi scientifici che hanno fatto ricorso a metafore fisiche per descrivere procedimenti logici, come nel caso della macchina di Turing. Ma il caso di Badiou sembra diverso, tanto che in un passo del tuo libro scrivi del suo tentativo di una “fondazione matematica del reale” (p. 82). Puoi illustrarci in che cosa consiste il rapporto tra enti matematici e filosofia per Badiou?

Badiou si serve dei risultati della teoria matematica (in particolare della teoria degli insiemi) per indicare una nuova via all’ontologia, che non spetterebbe più alla filosofia. Gli assiomi della teoria degli insiemi, sono, per Badiou, assiomi ontologici, dicono dell’essere. Attestano il non-essere dell’Uno e la pura molteplicità dell’essere, innanzitutto. L’uso della teoria matematica per giungere all’essere ha molto in comune con l’uso della poesia fatto da Heidegger. Entrambi credono che queste due scritture custodiscano un accesso all’essere, puro, impresentabile. Il ricorso alla matematica cela, sotto più aspetti, il desiderio metafisico che il puro possa trasmettersi, che non ci sia perdita. Nella mia prima ricerca filosofica Fenomenologia dell’estremo (Mimesis 2005) mi sono occupato dell’ideale della trasmissione all’interno del ricorso filosofico al poema. In questo mio ultimo volume, dedicato a Badiou, mi sono concentrato invece sull’ideale (platonico) della trasmissione attraverso la scrittura matematica.

2. Veniamo alla teoria dell’evento di Badiou. Nel tuo libro metti in evidenza come l’evento inteso come anomalia che interrompe il corso del “mondo”, in termini esistenziali, è però di fatto costretto dalla logica matematica di Badiou (e dal suo platonismo) a configurarsi come eccezione già prevista dalla norma. In un certo senso, l’evento si immunizza o si annulla, per sua natura. Ciò che ne rimane, se ne rimane qualcosa, è soltanto la fedeltà di un soggetto. Il soggetto è definito non in termini psicologici ma da “procedure di verità”. Che cosa vuol dire?

Affidare l’ontologia alla matematica ha come conseguenza una concezione “clamorosa” dell’evento. La teoria dell’evento di Badiou non si sottrae alla trasmissione matematica, anche se il filosofo dice che l’evento è un’anomalia insiemistica, paradossale per l’ontologia fondata matematicamente. L’evento è, infatti, “incluso fuori”: è costretto (ontologicamente) all’autosoppressione. L’evento “chiama”, ha una struttura di voce, struttura che Derrida ha mirabilmente decostruito. Per Badiou la soppressione dell’evento è la condizione fondamentale per la comparsa di un soggetto, ovvero di un “animale umano” (parole di Badiou) capace di elevarsi e superare la sua animalità, agendo e strutturando la sua nuova esistenza “in nome dell’evento” che l’ha indotto all’elevazione, a divenire “immortale”, ovvero a vivere secondo un’Idea universale. Una vera e propria procedura (con tanto di pulsante di avvio e operazioni) che Badiou chiama “procedura di verità”. Una verità, pertanto, sottratta al giudizio e all’opinione, che fa tutt’uno con la dedizione soggettiva. Per Badiou questa procedura si dà nel fare scienza, nell’arte, nell’amore e nella politica. Perché solo in queste quattro forme? Perché, secondo Badiou, sono questi i campi filosofici analizzati maggiormente da Platone. Non è una grande spiegazione, ma va presa come l’ennesima dichiarazione di platonismo. Nel mio libro dimostro come la teoria del soggetto “raro e immortale” di Badiou sia una teoria “anestetica”. Essa irrigidisce il soggetto a partire da un trauma iniziale (l’evento), ennesima immunizzazione occidentale dalla fragilità.

3. Una volta Badiou, a proposito di Deleuze, ha scritto: “Bisogna pensarci due volte, prima di affermare di essersi liberati del fondamento o di aver rovesciato Platone. E’ un po’ quello che è successo anche con Hegel, il cui rovesciamento da parte di Marx è stato, semmai, per la filosofia, un potente mezzo di perpetuazione” (Deleuze. Il clamore dell’essere, pp. 51-52). Nella conclusione del tuo libro definisci Badiou “un altro Hegel” animato da un certo spirito di sistema. La mia domanda non riguarda Deleuze, quanto l’operazione decostruttiva che hai inaugurato con questo tuo lavoro. Pensi che si debba decostruire ulteriormente la mathesis filosofica di Badiou?

La sua teoria del corpo mi interessa molto, da un punto di vista decostruttivo. Nel mio libro ne parlo, ma mi piacerebbe soffermarmi maggiormente sulla sua concezione del corpo come supporto “docile”. Badiou ha una concezione platonica del supporto, secondo la quale esso è buono solo se garantisce una perfetta trasmissione, solo se non va in giro “a pezzi”. Sto ultimando un libro sul “prendere corpo” che dovrebbe uscire del 2013 [poi effettivamente uscito], dove affronterò tale questione. Un altro tassello di ciò che ho chiamato “filosofia dell’esposizione”, una direzione di pensiero che si confronta con i rancori del puro e del nulla, siano essi dispositivi filosofici (Heidegger e Badiou, ad esempio) o dispositivi sociali (chirugia estetica e Facebook ad esempio). Ciò non toglie che si possa anche utilizzare il pensiero di Badiou come se si trattasse di una cassetta degli attrezzi. È quanto ho fatto, per esempio, con il suo concetto di “inesistenza” per la mia definizione dell’arte contemporanea come “arte inesistente”, affrontata nel mio Il mondo dopo la fine del mondo. Facebook, l’arte contemporanea, la filosofia (et al. 2012). Tuttavia, per poter “utilizzare” una teoria filosofica come una cassetta degli attrezzi bisogna prima “smontarla”. La decostruzione non esclude l’uso, anzi ne è la vera condizione. È ciò che molti dimenticano.

4. In conclusione, nel tuo libro tracci un ritratto al vetriolo del pensiero di Badiou sostenendo che “la sua articolazione concettuale rispecchia il dispositivo dell’evento mediatico” (p. 96). Mi sembra un passo decisivo per mettere in luce le conseguenze politiche del suo discorso. Puoi spiegare, a grandi linee, come sei giunto a queste conclusioni?

La gran parte degli interpreti più critici nei confronti di Badiou si concentra sulle sue riflessioni politiche, trascurando i principi della sua filosofia e soprattutto la dimensione estetica della sua riflessione. Io ho preferito soffermarmi, con finalità decostruttive, su questi ultimi aspetti. Ho così potuto constatare, che, oltre al pensiero “gridato” e più spettacolare (contro Sarkozy, per una riaffermazione del comunismo, l’odio per la democrazia occidentale, etc.), c’era un pensiero silenzioso compatibile con l’organizzazione estetico-politica del nostro tempo. Qualche maligno ha parlato di “fascismo logico”, ma io non la penso così. Credo piuttosto che il pensiero di Badiou sia oggi uno specchio (grande, maestoso) dove si riflettono “filosoficamente” il nostro tempo e la nostra tradizione filosofica: essi si raccolgono intorno a eventi clamorosi, ossessionati dalla perdita e dal divenire in qualche modo immortali. Ho cominciato a interessarmi a Badiou quando ho rintracciato nel suo pensiero una dimensione conservatrice. Una sorta di chiusura di quel momento filosofico francese che va da Sartre a Deleuze e che ha dato tanto alla filosofia mondiale.

~ di ariemma su settembre 14, 2014.

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