Boris Groys: Sul museo di arte contemporanea

boris groys[Per il progetto Biblioteca testi, ancora un altro testo, tradotto in italiano e reperito qui, di questo originale pensatore]

(traduzione Zlata Maltaric. Il testo di Boris Groys è stato pubblicato nella rivista“Kunst Sameln”,ed.G. Adriani, Museum für neue Kunst , ZKM Karlsruhe, 1999)

Il ruolo del museo d’arte contemporanea è stato, nonostante tutto, generalmente accettato. Il concetto di museo-istituzione rimane invece paradossale e rappresenta un orientamento completamente nuovo. Da un punto di vista tradizionale, il museo funzionava come un luogo dove si raccoglievano le testimonianze del passato per essere assemblate, una accanto all’altra, in un’unica comune immagine che poi diventava socialmente vincolante per l’interpretazione della storia. Quale è il significato e il compito della rappresentazione dell’arte contemporanea a livello museale – l’obiettivo che il museo d’arte contemporanea di oggi, senza alcun dubbio, si pone? Dapprima sembra che ogni tentativo di realizzare questo obiettivo sia destinato all’insuccesso, perché qui, in effetti, si tratta di un compito paradossale: per quanto solleciti e aggiornati nel collezionare opere d’arte attuali ed emergenti, tale prassi è comunque e sempre in ritardo – e rimane, almeno rispetto al presente, un passo indietro.
 
 
Questo ritardo strutturale del collezionare rispetto al presente si direbbe che escluda le possibilità stesse dell’esistenza del museo di arte contemporanea; il collezionismo e la sua rappresentazione non sono in grado di seguire con il proprio tempo di azione il corso e lo sviluppo reale dell’arte contemporanea. Il momento di un presente “a priori”, di “ora”, all’atto della museificazione diventa già passato. Dunque, si può dire, che il museo è forse in grado di raccogliere il “passato” ma non il “presente”. L’idea di museo di arte contemporanea sembra voglia imporci quelle richieste che in effetti non possono essere soddisfatte. Gli argomenti che nel periodo del Moderno furono indirizzati contro l’istituzione museale, sembra che ora acquistino nuove forze. Le tesi delle avanguardie contro il museo ci sono ben note: i musei sono cimiteri di arte antica e ogni tanto lanciano qualche sguardo verso il presente. L’arte contemporanea, attuale e vera, deve agire in diretto contatto con la vita – deve dare forma alla vita, suscitare sentimenti, deve indagare sulla realtà sociale del proprio tempo. Qualora il museo accettasse questa arte “viva”, essa non sarebbe più in grado di adempiere al proprio compito in quanto il suo agire viene neutralizzato e degradato a mero oggetto di fruizione distanziata, motivata esclusivamente da un’estetica innocua e retrospettiva. La museificazione dell’arte contemporanea significa, dunque, che il suo vero ruolo nella società è stato impedito e che essa si è arresa al sistema dell’arte – in questo modo essa viene annientata. La persona che è amica dell’arte contemporanea starà molto attenta, dunque, a non trasferirla in un museo. Preferirà lasciarla vivere al di fuori di questa istituzione finché riuscirà. Collocarla in un museo significa eliminarla. In poche parole questa è la tesi delle avanguardie contro i musei di arte contemporanea. Le tesi dell’anti-avanguardia contro il museo di arte contemporanea oggi sono ancora più diffuse e suonano così: “museo è un luogo in cui si espone la storia dell’arte”. Si propone quello che in un dato momento storico era nuovo, originale e significativo.  Nel nostro tempo, invece, la storia dell’arte è giunta alla sua fine – oggi non è possibile inventare nulla di nuovo in quanto il repertorio della possibilità di dare forma al prodotto-arte era esaurito già alla fine del Moderno. Il nostro presente è una specie di post-avanguardia e post-storia, che pur disponendo di tutti i procedimenti creati della storia, non è in grado di produrre nulla di originale, nulla che meriterebbe una rappresentazione museale. L’arte di oggi non è in grado di creare uno stile nuovo in senso storico tale da meritare un posto rappresentativo nel museo della storia dell’arte. Per questo motivo il museo di arte contemporanea è un non senso, che riguarda esclusivamente la questione del sistema economico dell’arte, che cerca di commercializzare l’insufficienza del nuovo, causata dalla storia stessa, e di sostituirla con una maggiore imprenditorialità dell’arte. Se qualcuno vuole oggi difendere a livello teorico e pubblico il museo di arte contemporanea, egli si presenta come un amante (reazionario) di un arte estinta, si presenta come il nemico della vita (vera). Egli appare, inoltre, come un avanguardista antiquato che non si è accorto della fine della storia dell’arte e non è in grado di riconoscere i segni del tempo. In entrambi i casi sembra che sia ingenuo, che agisca in modo acritico e che sia partecipe di questo falso e cinico sistema dell’arte. Allo stesso tempo, però, ci domandiamo: tutto sommato, è possibile oggi pensare a un museo diverso da quello di arte contemporanea? Il rapporto del museo con quella che si definisce la storia dell’arte è completamentcambiato. La convenzionale narrazione della storia dell’arte, sulla quale si basava tradizionalmente il museo di arte moderna, non convince più. I criteri di includere e di escludere, di presenze e di assenze, che fanno parte della stessa storia dell’arte come tale, negli ultimi decenni sono diventati inaccettabili. E’ stato dimostrato che gli stessi dipendono dal tempo e dalla cultura. Considerando che ci mancano eterni e atemporali criteri di valutazione artistica nel collezionare o nel mettere in scena le rappresentazioni museali, siamo in grado di seguire soltanto il nostro giudizio pertinente all’attualità del contemporaneo. In questo modo tutti i musei diventano musei di arte contemporanea, in quanto espongono e documentano meno l’arte antica, e dunque meno il nostrrapporto con la stessa. Da Duchamp in poi regge l’idea che, prima di tutto, la prassi artistica non si manifesti nella produzione degli oggetti, ma nel rapporto con questi oggetti. Tramite questo rapporto con l’arte del passato creiamo, dunque, l’arte del presente. Al posto di un’unica storia dell’arte, oggi stanno emergendo molte altre storie parziali, concorrenti, contraddittorie e diverse, che tramite progetti individuali vengono proposte nel museo. Il museo si è trasformato da tempo da luogo in cui si custodisce e mette in scena l’arte come qualcosa di fisso in un palcoscenico in cui vengono rappresentate collezioni e progetti molto eterogenei. E quando si sente dire che nell’arte contemporanea non si può scoprire più nulla di nuovo, perché siamo arrivati al capolinea della storia dell’arte, questa tesi è solo parzialmente accettabile. Non si tratta affatto della crisi della nuova arte, la crisi è piuttosto nel vecchio. La storia dell’arte come storia unica e convenzionale sull’antico, compresa la presentazione nel museo, non è del tutto convincente. Ed è qui che si può parlare di difficoltà quando si vuole confrontare l’arte contemporanea con l’arte del passato, per cercare di scoprire che cosa è oggi il nuovo nell’arte. Dato che non si dispone più di regole per scrivere una storia dell’arte, non si può, dunque, sapere che cosa è

vecchio – e per questa ragione ci mancano i criteri per stabilire ciò che storicamente è nuovo.
In questo modo si può parlare di un confronto con il presente, però lo stesso non può essere definito come una “cesura” tra il passato e il presente. Non si trova via d’uscita dal presente e neppure verso il passato o verso il futuro. E’ chiaro che ciò che racconta la storia e chapparentemente ci dà la possibilità di distinguere il passato dal futuro, possiede il proprio tempo – e questo tempo è il tempo presente. Ecco, dunque, che non può esistere alcun museo oltre a quello di arte contemporanea. Pe, sicuramente si può sostenere anche il contrario: ci, che il presente è ancora l’orizzonte del futuro di ogni collezione in un museo, anche quando il passato e il futuro (concepiti come una costruzione dentro il racconto della storia dell’arte) vengono scissi per via della politica effettiva di rappresentazione. Come si può definire, allora, la realtà? Evidentemente la realtà non può essere definita diversamente da ciò che è la somma delle cose ancora non raccolte e non rappresentate. In questo senso la realtà è secondaria rispetto al modo di procedere dei collezionisti. Il rapporto, in effetti, non è quello dove il processo creativo si svolge prima nella realtà per poi essere presentato nella collezione in un museo. Finché l’arte rimane al di fuori dei musei, quando non si trova ancora nelle collezioni, mentre si fa qui e ora, o quando si orienta verso il passato senza però rapportarsi in modo nuovo con esso, non si può identificare come attuale, ma come epigono, morta e non vera. La realtà non è primaria, o la sua rappresentazione museale secondaria, ma la collezione museale impone ciò che qui e ora può essere attuale, reale e contemporaneo. Questo significa che il museo d’arte contemporanea produce, prima di tutto, arte contemporanea, definisce ciò che non fa parte della collezione, e così, sin dall’inizio, si manifesta in rapporto alla collezione museale.
Agli inizi il museo di arte moderna non collezionava l’arte ma oggetti d’uso quotidiano, funzionali ed esteticamente belli, trasformati poi in oggetti d’arte. Gli oggetti antichi, antecedenti al tempo moderno, o provenienti dalle culture extraeuropee, che la storia moderna collezionava come oggetti d’arte, all’origine avevano delle funzioni diverse da quelle attribuitegli in seguito, servivano in un contesto di riti sacri o per rappresentare il potere. In questo senso Duchamp, quando ha collocato gli oggetti nello spazio museale, ha cambiato la loro funzione d’uso quotidiano e ha soltanto ripetuto l’atto iniziatico del sistema del collezionismo moderno. La vita di un’opera d’arte comincia soltanto nel museo. Sin dall’inizio questo è una vita che desidera la morte. Il museo di arte moderna non è un luogo di ricordi della storia dell’arte reale, vissuta nella sua integrità creativo- produttiva, in altre parole non museificata. Anzi, il ricordo di una vita anteriore alla museificazione dell’opera d’arte viene cancellata con il suo collocamento nella collezione. Un museo di arte moderna non diventa così un cimitero, ma piuttosto un tempio per le cose da collocare. Là gli oggetti vivono una loro transustanziazione, una nuova nascita tramite “consacrazione”. Vengono battezzati e ricevono una porzione di sangue vampiresco. Rinascono come Arte. Soltanto questi “neonati oggetti” vengono definiti dal moderno come arte. Per questo motivo gli oggetti che al loro origine non sono artistici, per modo di dire, ma oggetti concreti, hanno buone possibilità di essere accettati nel museo. Mentre l’arte che sin dall’inizio appare come arte e assomiglia alle proposte museali, cioè alle collezioni museali, è respinta come opera kitch. Prima bisogna vivere una vita reale e kitch,
 peccaminosa, per poi essere trasformati e salvati. Quelli che sin dall’inizio si dimostrano troppo religiosi vengono individuati come falsi e come materiale di scarto. Possono, senz’altro, assistere anche delle cose che non hanno trovato una collocazione museale, eppure un ponderato e libero esteta potrebbe definirle come opere d’arte. Però, queste cose vengono qualificate come tali in quanto si potrebbero immaginare nel contesto museale. In questo modo qualsiasi oggetto d’uso quotidiano potrebbe essere visto come opera d’arte, senza però essere accettato nel museo, esplicitamente come ready made.
Comunque, per questo giudizio ci prepara soltanto il museo, poiché il concetto di ready made deriva dal museo stesso. Un uomo moderno che è in grado di percepire il bello e di trovare il piacere nella vita può sentirsi libero soltanto quando il museo l’ha liberato dal compito reale riguardante la collezione museale. Siccome quest’uomo moderno ha sempre davanti a sé l’istituzione museale, egli è capace di guardare tutto il mondo come se fosse un museo, liberandosi così dal peso della realtà – cioè, è in grado di vivere e percepire questo peso come bello ed esaltarlo come qualcosa di sublime e come una possibilità di autodistruzione. Sostenere che una libera soggettività dell’uomo si può raggiungere solo grazie all’effetto di una collezione museale nel suo insieme, non significa giudicare male l’uomo; soltanto con presupposti metafisici, più che problematici, si può affermare la tesi che la soggettività inscenata sia peggiore o minore rispetto alla reale soggettività. Un chiaro spazio museale si differenzia dal mondo esterno – il museo crea, almeno in due modi, quello che è diverso, differente. In primo luogo, gli oggetti d’uso quotidiano, che non si trovano nel museo, vengono esclusi dallo sguardo del fruitore. Secondo, il museo stesso, con la sua esistenza materiale, con la propria attività e istituzionalità, diventa invisibile e nascosto. In questo modo, dentro un museo l’uomo si sente rinchiuso – desidera evadere dalla mediocrità. Proprio considerando questo compito, si può creare e parlare di una moderna soggettività estetica. La funzione primaria del museo, dunque, è nel creare fuori dalle proprie mura l’illusione dello spazio libero che sostituisce lo spazio dove l’uomo liberamente crea e agisce esteticamente. Qualora il museo crolli sparisce anche lo spazio libero enascosto della realtà. Il museo crea ciò che si chiama l’attualità soltanto quando vengono escluse certe cose, quando vengono lasciate nel buio, vale a dire, non inserite nella collezione. Quando si guarda il mondo esterno dall’interno dell’inadeguatezza illuminata dello spazio museale, la realtà si offre come somma di quello che non si è ancora visto esposto come arte. Così dall’interno di un museo l’uomo vive estaticamente la realtà, cioè come possibile oggetto di riflessione pura sotto le luci museali. Quest’uomo si sente chiamato a redimere le cose del mondo esterno, a salvarle esteticamente e a portarle dal mondo delle tenebre alla luce del giorno. Le
avanguardie del ventesimo secolo che contestano continuamente il museo, sostengono che cose diverse da catalogate e appartenenti alla convalida della critica ufficiale, mai si accettano, espongono e salvano. Loro lavorano con questo spirito missionario. La logica museale della collezione si manifesta tramite la convinzione che quello che è diverso è differente – e dunque nuovo per la collezione museale – ed è sufficiente per valorizzarlo da punto di vista museale semplicemente come “diverso”. Se viene ripetutamente fatta una richiesta politica, estetica, o diversamente motivata, per inserire nel museo quello che è diverso, sommerso o escluso, allora questa richiesta è tanto indispensabile quanto superflua, in quanto deriva dalla logica interna del collezionismo museale. Un museo di arte contemporanea è contemporaneo prima di tutto perché lo sguardo dell’osservatore si dirige verso lo spazio esterno, fuori dai muri museali – verso lo spazio del presente. La visione della reciprocità e della dipendenza interiore dell’attuale soggetto d’arte nella logica del collezionismo sicuramente sembra a molti un fatto irritante e deprimente. L’uomo si domanda, comunque, che cosa è oggi rimasto ancora delle grandi promesse di libertà, le promesse fatte dal Moderno agli artisti all’inizio del ventesimo secolo? In quei tempi la nuova promessa dilibertà, come sappiamo, produsse effetti inebrianti sugli artisti, li esaltava più che mai in passato. Per questo motivo sono state create così tante opere insolite che a tutt’oggi si ammirano. Poco però è rimasto di questa iniziale euforia. L’artista contemporaneo non si sente più libero – anzi ha la sensazione che poco o niente dipenda dalla sua soggettività nel odierno sistema dell’arte. L’artista si sente più che mai sottomesso al mercato, alle istituzioni culturale e al gusto dell’ opinione pubblica, che cerca e trova in continuazione espressione nelle sempre nuove oscillazioni delle mode. Dunque, la questione è: come era possibile che soltanto in un secolo l’arte sia passata così velocemente e così radicalmente da una sensazione di assoluta libertà a una sensazione di profonda impotenza?La ragione di questa nuova debolezza degli artisti sta evidentemente nel fatto che gli artisti dell’avanguardia storica cercarono di liberare se stessi, ma in effetti hanno ottenuto l’opposto, senza neanche accorgersene: hanno concesso la piena libertà all’istituzione dell’arte. Gli artisti dell’avanguardia volevano distruggere le collezioni museali per entrare nella realtà e scoprire il nuovo. Soltanto molto più tardi è diventato chiaro, che in effetti sin dall’inizio tutto fu programmato dall’istituzione museale. Anche la libertà proclamata all’inizio del secolo scorso è statistituzionalizzata. Per questo motivo la necessità per uscire dall’istituzionalismo, per entrare direttamente nella vita, per scoprire il vero ecc., che ancora oggi vengono ripetuti, rafforzano soltanto l’inscindibilità dell’arte dall’istituzionalismo museale. Oggi sarebbe molto più auspicabile accettare l’istituzione dell’arte, invece di combatterla, mentre la libertà dovrebbe di nuovo essere individualizzata. L’artista non è solo un produttore di opere da collezionare, lui è anche il collezionista. Ogni artista raccoglie se non altro le proprie opere – prima di offrirle agli altri, ai collezionisti privati o pubblici. Soprattutto l’artista contemporaneo che opera prevalentemente nel campo della fotografia, del video e dei metodi di appropriazione, appare meno come colui che produce opere d’arte e più spesso come un osservatore e un collezionista. L’artista contemporaneo che usa mezzi diversi,tecnicamente e tecnologicamente nuovi, è diventato un consumatore esemplare di immagini anonime prodotte in massa, che continuamente circolano sulle reti dei vari media di comunicazione. L’artista non vuole essere più un artigiano, un operaio, un serviente – preferisce osservare il mondo come un padrone – consumatore e collezionista. L’artista ha girato la pagina. Non offre più allo sguardo valutativo dell’osservatore i risultati della propria creatività. Vuole dare forma a quello sguardo, vuole guidarlo e indirizzarlo. Il suo vero compito è formare il gusto, creare l’immagine. Se l’artista contemporaneo si comporta oggi da aristocratico, questo suo modo di agire corrisponde al nostro tempo, corrisponde, in altre parole, a un mondo burocratico o più precisamente di natura tecnico-amministrativa. L’artista dei nuovi media sceglie, imita, modifica, redige, cambia, combina, riproduce, assembla, seleziona, espone o assembla. Manipola le immagini esattamente come le grandi amministrazioni moderne, compresi i musei, manipolano i dati. Così si può dire che l’artista dei nuovi media oggi si possa confrontare con l’impiegato amministrativo e

con la sua attività di elaboratore di dati, esattamente come il pittore nel passato veniva confrontato con l’operaio in una fabbrica, e con la sua attività manuale. E come allora il pittore lasciava le tracce del suo intervento individuale, fisico e manuale, così oggi l’artista che usa i nuovi mezzi di comunicazione propone la monotonia dell’elaborazione dei dati e il presente dei media allo sguardo aristocratico – offrendo poi questo sguardo al consumo. In modo simile, oggi i musei, come pure altre collezioni di immagini, non funzionano più come luoghi dove si mette in mostra l’irripetibilità di ciò che è storico, funzionano piuttosto come archivi dove si archiviano varie considerazioni e idee strategiche. Idee che in ogni momento possono essere tirate fuori dall’archivio e usate. Sembra che in questo modo l’artista possa di nuovo conquistare la propria libertà. Però, non si tratta più della libertà nel realizzare il proprio progetto artistico oppure il proprio gusto, almeno non come qualcosa di primario. Dopo tutto, dentro l’istituzione e il mercato dell’arte ogni produzione artistica diventa merce, di cui l’istituzione dispone liberamente. E questo è un dato difatto. L’artista riacquista la sua libertà nel momento in cui rinuncia a diventare un semplicfornitore di merce artistica e sceglie la strategia di essere, almeno simbolicamente, collezionista d’arte. Tramite un’installazione un artista è in grado, proprio come lo è un curatore, di formulare le proprie idee con maggior effetto per quel che riguarda la storia dell’arte, e così, almeno per un certo periodo fa vedere la propria collezione virtuale, come lo faceva a suo tempo Broodthaers. In questo modo l’artista è capace di controllare lo sguardo del fruitore, guidandolo meglio e con maggior efficacia che nel passato, in quanto l’installazione di vari mezzi di comunicazione offre, prima di tutto, nuove possibilità di creare la luce e lo spazio, rende possibile una nuova definizione dello spazio tradizionale del museo. L’arte odierna considera il museo come una forma d’arte (un linguaggio artistico) con il quale si può liberamente agire – e con ciò assegna al concetto del museo d’arte contemporanea la giustificazione di una sua maggiore utilità.

 

 

 
 
 

~ di ariemma su marzo 13, 2015.

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